Terapia simbolica

La malattia di Alzheimer è una delle forme più frequenti di demenza in età senile, essa colpisce progressivamente la memoria, l’orientamento, il linguaggio, la percezione, il controllo dei comportamenti fino a togliere alla persona le funzioni mentali fondamentali per poter sopravvivere in modo autonomo nel mondo. un ulteriore aspetto della malattia è la perdita graduale della coscienza. all’inizio la persona ha una qualche forma di coscienza di sé e si rende conto del fatto che dimentica più frequentemente di un tempo, spesso è anche depressa proprio a causa di questa consapevolezza e si chiude in casa probabilmente per evitare di far brutte figure con gli altri.

Con il progredire della malattia però, il grado di inconsapevolezza si amplifica sempre di più fino a che il paziente non si rende più conto della realtà intorno e della propria situazione. Questo per certi versi protegge la persona da una sofferenza psicologica che potrebbe essere di grande intensità. Il paziente entra in uno stato di disorientamento tale per cui il tempo e lo spazio reali non esistono più, spesso è fermamente convinto di trovarsi nella casa di quando era bambino, pensa che la moglie sia sua madre, oppure ancora crede che il posto in cui si trova non sia la sua casa, anche se lo è vera- mente, diventa un posto del tutto sconosciuto se non pericoloso. Così lo spazio e il tempo per i malati di Alzheimer non esistono più, tutte le loro conoscenze sono sparpagliate e confuse e quando servono sono introvabili.

La condizione psichica dell’Alzheimer ricorda quella che tutti noi proviamo durante il sogno notturno. Nei sogni non esiste né il tempo né lo spazio tipico della realtà in cui viviamo, i luoghi sono strani, i personaggi che incontriamo possono essere persone conosciute ma possono anche avere un volto diverso, oppure essere sconosciute, nei sogni succedono fatti singolari di cui spesso non cono- sciamo i significati. Possiamo così immaginare quanto sia difficile stare costante- mente in una dimensione onirica come questa e capire come nella testa del ma- lati possano susseguirsi immagini, sensazioni, pensieri e che questi portino a de- terminati comportamenti reattivi alle visioni prodotte dalla mente, proprio come se queste fossero la realtà stessa. Il corpo del paziente sente e risponde alle e- mozioni che le immagini mentali gli suscitano.

Studiando la psiche di queste persone abbiamo capito che è d’importanza vitale per loro avere uno spazio per poter esprimere le proprie emozioni, siano esse positive che angoscianti, magari con mezzi diversi dal linguaggio, che in questa malattia purtroppo è gravemente danneggiato. L’espressione delle emozioni attraverso le attività simboliche da noi proposte, è veramente in grado di ridurre la tensione e di abbassare il livello di agitazione psicomotoria del paziente. In circa dieci anni di lavoro con pazienti abbiamo utilizzato vari tipi di tecniche riabilitative dal training cognitivo e di memoria, alla ROT (Reality Orientation Therapy), al training psicosensoriale, alla gerontomotricità, alla musicoterapica, alla tecnica di Validation di Naomi Feil al Gentle care di Moira Jones. Ognuna di queste tecniche aveva e ha degli aspetti molto positivi soprattutto se utilizzate in fasi precise della malattia, ma nessuna di queste teneva conto dell’inconscio del paziente con Alzheimer.

Nell’ultimo anno e mezzo invece, abbiamo messo a punto e sperimentato una nuova terapia che utilizza le componenti inconsce del malato e attraverso di esse siamo riusciti a comunicare con maggior facilità con il paziente, riusciamo a rassicurarlo e a gestire meglio i suoi comportamenti disturbanti.

 

L’importanza dell’approccio assistenziale
L’IPAB LA PIEVE di Breganze già dal 2000 ha strutturato un nucleo protetto per la malattia di Alzheimer, denominato “il Giardino” e altri servizi per le demenze ad esso correlati ( centro diurno, moduli re- spiro, consulenza domiciliare). E’ stata un’esperienza pilota per questa ULSS del Veneto che ha dato ottimi risultati nel tempo e continua ad essere un punto di riferimento anche per altre strutture. La peculiarità di questi servizi è costituita dal fatto che i pazienti sono assistiti con una metodologia particolare che tende a la- sciarli più liberi possibile e a ridurre al minimo le contenzioni sia fisiche che farmacologiche. I disturbi del comporta- mento sono gestiti fondamentalmente con un adeguato ambiente ampio e pro- tetto, con un bellissimo giardino Alzheimer, con una modalità di approccio relazionale del personale rassicurante e gentile, con un programma di terapia non-farmacologica quotidiano e solo se necessario, con interventi psico-farmaco- logici nelle fasi più acute.

In molti anni di esperienza diretta a con- tatto con i malati di Alzheimer abbiamo capito l’importanza di quattro elementi fondamentali:

• La conoscenza della storia della persona (anamnesi medica e psicologica).
• L’analisi non solo dei deficit cognitivi e funzionali ma anche delle risorse e delle capacità sviluppate negli anni di esperienza (valutazione neuropsicologica).

• L’importanza del calore umano nell’approccio relazionale con il malato attraverso la comunicazione non verbale (formazione agli operatori).

• La necessità di un sostegno psicologico ai parenti dei pazienti in tutte le fasi della malattia.
La malattia di Alzheimer è una delle patologie più difficili da gestire a domicilio anche se si ha un aiuto a casa, in quanto necessita non solo di una sorveglianza costante e continuativa ma anche di un approccio relazionale e terapeutico parti- colare che non tutti conoscono.

E’ per questo che moltissimi casi di malati di Alzheimer arrivano in struttura protetta, perché la gestione a domicilio spesso diventa impossibile. Per i famigliari è quasi inevitabile essere sottoposti a notevole stress psico-fisico e aggiungere i propri problemi a quelli del malato, che tra l’altro, si agita sempre di più percependo tensione intorno a lui.

Occorre quindi che il personale che assiste persone con demenza sappia padroneggiare sia le tecniche per la gestione dello stress ( Strategie di Coping Stress) sia tecniche di comunicazione non verbale ( CNV), che sono molto utili per calmare il paziente, per ridurne i disturbi comportamentali e soprattutto per farlo vivere più serenamente.

La metodologia sanitaria-assistenziale che abbiamo sperimentato in questi anni ha dato ottimi risultati ed è diventata una prassi di lavoro quotidiano, consiste pro- prio in un approccio terapeutico alla malattia di Alzheimer a 360° non solo medi- co-assistenziale ma anche, come vedremo, umano e psicologico.

La base del lavoro è data dalla scelta di un gruppo idoneo di operatori e da una loro specialistica formazione sulla malattia di Alzheimer e sulla psicologia della comunicazione umana.

Gli operatori, gli infermieri e i tecnici riabilitatori apprendono, con una formazione continua, una modalità di relazione gentile e delicata ma anche strategica che li aiuta ad approcciarsi al malato di Alzheimer con maggiore facilità e con minore tensione interna.
Questa modalità produce fin da subito notevoli risultati sul clima emotivo del reparto e ha effetti benefici soprattutto sui pazienti, facilitando anche il lavoro di assistenza.

La terapia simbolica

Su questo clima ambientale positivo e ac- cogliente si applica poi la Terapia Simbolica (TS).
Questo approccio terapeutico innovativo è di tipo non-farmacologico e nasce dal connubio di due discipline, la neuropsicologia e la psicologia analitica. La prima disciplina ad orientamento più razionalistico ha per oggetto le basi neurologiche dei disturbi cognitivi, la seconda cerca di comprendere e di curare l’animo umano attraverso i simboli della comunicazione umana universalmente condivisi. Si potrebbe obiettare l’eccessiva diversità dei due approcci, del resto nessun uomo è solo ragione ma neppure può essere solo anima o spirito; siamo la sintesi di aspetti diversi e per curare appieno la persona sono utili e necessari entrambi. La terapia simbolica si basa sul principio della multimodalità: le funzioni cognitive danneggiate dalla malattia (percezione, memoria, linguaggio, attenzione, pensiero, movimento, sistema affettivo-emotivo e comportamentale…) con questa terapia vengono stimolate sistematica- mente e contemporaneamente con tecniche ed attività differenti in modo da attivare il maggior numero possibile di aree cerebrali.
Gli ultimi studi sulla rigenerazione cellulare dei neuroni indicano appunto che, se stimolato, il cervello può continuare ad ampliare e ad espandere le proprie diramazioni neuronali.
Pertanto la stimolazione neuropsicologica deve essere più vasta possibile ed arrivare da canali diversi. Il paziente con demenza possiede, nella sua mente, ancora molto materiale memorizzato, le esperienze fatte, i nomi delle cose e delle persone, i set motori delle sequenze di azioni, le emozioni provate e tanto altro, il problema principale è che ha perso la capacità di recuperare il materiale al momento giusto in quanto la memoria di lavoro1 e il sistema supervisore centrale (SAS)2 non funzionano più in modo ade- guato e non riescono più ad organizzare il recupero dai magazzini di memoria. Le competenze funzionali e mentali sviluppate durante l’esperienza della per- sona, come per esempio nel proprio lavoro, sono poi di fondamentale importanza perché esse sono rappresentate da aree cerebrali più sviluppate con una rete neuronale più fitta. Ed è per questo che prima di iniziare la terapia è necessario, attraverso l’esame neuropsicologico, sondare quali sono le facoltà men- tali più sviluppate e meno danneggiate, perché su esse si potrà puntare per la riabilitazione e il recupero di altre abilità. La plasticità cerebrale ha quindi una fondamentale importanza nell’evoluzione della malattia ma anche nella sua terapia. Spesso la degenerazione dei canali percettivi (vista, udito, tatto, …) e le successive elaborazioni delle aree cerebrali non procedono secondo una sequenza standard per tutte le persone perché ogni persona ha sviluppato ed ampliato con la pratica e l’apprendimento, alcune aree del cervello e meno altre, pertanto la sequenza dei difetti percettivi è data dalla localizzazione delle aree atrofiche e dalla conformazione cerebrale individuale.

Di qui ne deriva che, se abbiamo a disposizione più canali (vista, udito, olfatto, tatto, emozione, memorie archetipiche), per raggiungere lo stimolo, anche se qualcuno di essi è difettoso, utilizzandoli tutti, avrò maggiore probabilità di arrivare all’obbiettivo e di recuperare informazioni su di esso dai vari magazzini di memoria. Lo stimolo ha più probabilità di essere recuperato se si attua una stimolazione a 360°delle funzioni sensoriali, delle funzioni cognitive, di quelle motorie e soprattutto utilizzando le funzioni emotivo- affettive e le parti inconsce del paziente.

Tempi e risultati

Per attuare questa stimolazione per il malato di Alzheimer abbiamo strutturato una terapia quotidiana. Occorre seguire la terapia almeno 5 giorni su sette della settimana e per un periodo di almeno 6 mesi per avere dei risultati apprezzabili dai test neuropsicologici di controllo. Nel gruppo di pazienti che abbiamo trattato abbiamo ottenuto dei notevoli risultati. Tutti i pazienti trattati hanno avuto un considerevole miglioramento ai test cognitivi e una riduzione dei disturbi comportamentali senza far uso di psicofarmaci o farmaci nootropi.

Se in una condizione di assistenza normale un paziente con Demenza di Alzheimer perde 2 punti all’anno al MMSE3, un test che misura l’assetto cognitivo della persona, con la terapia simbolica (TS) ne acquista da 1 a 5 ma soprattutto ha un’incidenza notevole su tono dell’umore e sulla serenità del paziente che si sente accettato e amato come una persona che ha ancora delle risorse e tanto affetto, immagini ed insegnamenti da lasciare a noi che li accompagniamo in questo doloroso percorso della vita che è loro capitato in sorte.

Il gruppo sperimentale di una decina di pazienti per un anno ha lavorato ogni giorno con il terapeuta affiancato da un operatore di supporto. Purtroppo non tutti i soggetti hanno proseguito la terapia per motivi di salute e altri si sono aggiunti in seguito, pertanto abbiamo potuto avere i risultati per 5 di essi che invece hanno usufruito della terapia per tutto l’anno.

Nel gruppo si è creato, col tempo, un cli- ma di particolare affetto e simpatia nono- stante non sia sempre facile il coinvolgimento dei pazienti che dipende anche dalle giornate e da come si sentono. Tuttavia abbiamo osservato che la co- stanza e la stabilità della presenza del terapeuta ha permesso di ottenere una sorta di memoria implicita dell’appunta- mento. Abbiamo inoltre cercato di creare una ritualità nella terapia, preparandola ed iniziandola allo stesso orario tutti i giorni con uno schema sempre simile, utilizzando materiali simbolici collegati anche alle tradizioni del luogo e ai periodi dell’anno. I pazienti, anche se non ricordano, a causa dell’amnesia, hanno la “sensazione” che sia l’ora di fare qualcosa di gradevole, e questa è la prova che negli ospiti trattati si sta verificando un apprendimento implicito su base emotiva. Anche se la memoria rimane implicita e inconscia e non sono in grado di esplicitare l’esperienza con il linguaggio ne rimane comunque una traccia emotiva che per noi è d’importanza rilevante. Pensiamo che, grazie a questi risultati, la persona con Alzheimer possa continuare a vivere e ad esprimersi con modalità simboliche e con il linguaggio non verba- le, possa continuare a sentire e ad apprendere grazie alla presenza dell’in- conscio anche se ad un livello diverso del nostro e che il suo percorso individuativo non sia finito solo perché ha perso la “mente” , la coscienza e la memoria4.

Il terapeuta in questo tipo di terapia funziona da “Coscienza” per il gruppo di pazienti, è colui che guida, propone, incentiva, ricorda e gratifica, fa le veci cioè, di quella parte della mente del paziente danneggiata e questo permette alla per- sona di continuare ad esprimere la sua natura umana con i mezzi che ha a disposizione assieme al terapeuta.
Tale terapia ha quindi un’importante valenza umana ed è la più vicina alla profondità della persona perché rende significativa anche la vita inconscia del paziente con demenza. Essa si è dimostrata molto efficace da un punto di vista clinico per migliorare il tono dell’umore e per ridurre i disturbi del comportamento. Questo risultato preliminare ci fa ben sperare che una terapia che riconosca e dia un senso alle parti inconsce della persona, anche se è affetta da demenza, possa in qualche grado influire sugli a- spetti funzionali e cognitivi, perché miglio- ra la condizione psichica del paziente in senso lato.
Ma soprattutto questo nuovo approccio terapeutico è in grado di restituire ai pazienti la dignità di persone, poiché per- mette ad essi non solo di esprimersi con i propri mezzi, ma anche di dare un significato alla loro vita nonostante la malattia degenerativa.
La Terapia Simbolica, proprio per i suoi a- spetti inconsci ed emotivi, apre nuove possibilità di relazione col paziente Alzheimer, possibilità fondate sull’affetto e sull’umanità, sentimenti di cui tutti abbiamo bisogno soprattutto quando dobbiamo affrontare una malattia, come l’Alzheimer, che porta ad una lenta dissoluzione delle abilità più profondamente umane di cui siamo dotati.

 

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