In un’epoca in cui sembra che invecchiare significhi semplicemente uscire dai giochi ed essere di peso per la società, la scienza, la tecnologia e la psicologia ci aiutano invece, non solo ad invecchiare in salute, ma anche a ritrovare un importante ruolo nella società, che manca e che tuttavia sta diventando indispensabile.
Nell’antica Grecia gli anziani avevano il ruolo di guardiani della Polis, l’areopago era assemblea degli anziani, con funzioni di controllo e dotata di potere giudiziario in campo penale, non governavano direttamente, ma avevano un ruolo rilevante nel mantenere le tradizioni, nel garantire la giustizia sociale e segnalare i bisogni dei cittadini. L’archetipo del grande vecchio, del saggio, si ritrova nelle fiabe e nella mitologia di tutto il mondo ed è una figura profondamente radicata nella nostra psiche. Essa ha sia lati positivi che negativi, il vecchio saggio è colui che rende stabile e sicuro un regno, che fa economia, che garantisce la sopravvivenza e la ricchezza ma talora è anche colui che è troppo rigido, non vuole cedere il potere e distrugge il suo stesso futuro, come Saturno divorò i suoi figli, così un Re che non lascia il trono e il potere ad uno dei suoi figli, quando è arrivato il tempo, ricrea i presupposti per l’auto-distruzione. Il ruolo positivo del vecchio invece si realizza quando diventa consapevole che non gli spetta più il ruolo di guerriero e lascia questo compito al figlio, ma gli rimane accanto, lo sostiene, lo consiglia, gli insegna le strategie, discute e lo ama, collaborando con lui con risorse acquisite dall’esperienza per lo stesso obiettivo: il bene del proprio regno e dei suoi sudditi. L’errore del figlio è talora quello di credere di poter far da solo senza avvalersi degli insegnamenti esperienziali dei genitori, dei nonni o degli antenati. Questo è un tema molto attuale nella nostra società e accade quando i giovani credono di non aver nulla da imparare dai più vecchi, si affidano al nuovo grande vecchio universale che è la rete informatica, ma la rete non ha un vissuto affettivo complesso, è spesso un guazzabuglio di informazioni talora imprecise e decontestualizzate da una conoscenza profonda, pratica e vera.
Sarà forse per questo motivo che molti adulti tendono ad abbarbicarsi al potere e a boicottare, sfruttare i giovani o a riempirsi di botulino? Forse per sfuggire a Kronos, il tempo che scorre? Hanno forse il timore in futuro di venire sprezzati, svalutati quando hanno ancora molto da dare e da insegnare? Questa combinazione di atteggiamenti negativi dei giovani e dei vecchi prelude, in realtà, ad una chiusura rovinosa delle nuove generazioni e al tempo stesso ad una esclusione e sofferenza negli anziani.
Sarebbe utile invece spostarci dalla preoccupazione del tempo che scorre, e vivere piuttosto il tempo di Kairos, il dio del tempo opportuno, cioè aumentare sempre più la nostra abilità di adattamento ambientale, usare in altri termini, quello che siamo, quello che sappiamo, con quello che abbiamo a disposizione, per esprimere il meglio di noi stessi in ogni momento. Questa è la sfida con cui l’uomo e gli esseri viventi sono riusciti ad evolversi nel tempo, a fare enormi progressi sul piano fisico e intellettivo, occorre recuperarne l’essenza dell’evoluzione per invertire il senso di marcia generazionale che ci sta portando fuori strada.
Gli scienziati oramai da qualche anno, hanno scoperto che i neuroni cerebrali, sono delle cellule dinamiche, prima si pensava che dopo una certa età potessero solo atrofizzarsi e diminuire, invece le cellule del cervello hanno una certa plasticità (E. Kokovay 2008), ciò significa che se le usiamo bene possiamo continuare ad amplificare le spire dendritiche anche dopo i 40 anni e questo non solo con nuovi apprendimenti e nuovi interessi ma anche con altre semplici attenzioni nella vita quotidiana.
Dobbiamo infatti sapere che il nostro patrimonio genetico è in continua interazione con l’ambiente, un meccanismo epigenetico può attivare un fattore o reprimerlo disattivando il gene e slatentizzando una malattia. L’ambiente quindi può modificare i nostri geni, perciò conta veramente ciò che facciamo, come ci alimentiamo, il morale che abbiamo, le nostre possibilità economiche, la qualità della nostra vita affettiva, l’attività fisica e mentale e tanto altro.
Gli scienziati hanno innanzitutto trovato quanto sia importante l’attività fisica per mantenere un buon livello cognitivo e un’efficienza mentale eccellente e un buon tono dell’umore: sembra che la neurogenesi venga attivata dall’attività fisica attraverso l’attivazione dei geni promotori del BDNF, il fattore trofico cerebrale(H. Van Praag et al.2005).
Gli stili di attaccamento affettivo, la vicinanza di una persona che amiamo e quanto altro di affettuoso riguardi l’amore e le relazioni positive tra le persone, possono influenzare in modo significativo le cellule cerebrali attraverso il BDNF. Esperimenti sia con le scimmie che con i topi hanno dimostrato che l’interazione affettiva amplifica le spire dendritiche dei neuroni, e che una separazione cronica della madre dal cucciolo, determinerebbe la produzione di livelli anomali di BDNF in diverse aree cerebrali, producendo significativi deficit nei circuiti ippocampali deputati alla memoria e all’apprendimento (D. Marazziti et al.2008).
E’ fondamentale quindi, anche per l’adulto superare gli stati depressivi o i traumi emotivi, curare la sofferenza psicologica o con i farmaci o con la psicoterapia, poiché è stato trovato che, se il paziente depresso non viene trattato, l’ippocampo e la corteccia del cingolo, due importanti aree cerebrali legate alla memoria, cominciano a danneggiarsi e a perdere neuroni. La depressione soprattutto in persone che hanno recidive, dev’essere trattata subito, altrimenti il cervello ne risente in modo importante e si rischia di sviluppare malattie più gravi come le demenze. Sappiamo infatti che nei pazienti con patologie mentali la capacità di adattamento all’ambiente tende a ridursi notevolmente.
Anche l’alimentazione ha una sua importanza, dalle ricerche esistono degli alimenti, che più di altri proteggano dalle degenerazioni cerebrali e questi sono l’olio d’oliva (oleocantale), gli alimenti contenenti vitamine B che combattono il restringimento anomalo del cervello regolando la presenza di un aminoacido (P. Breslin 2009) nel sangue chiamato omocisteina. Gli alimenti migliori per prevenire le degenerazioni cerebrali sarebbero le verdure a foglia verde scuro, i cavoli, i pomodori, il pesce azzurro, olio e cereali, così è stato dimostrato dagli scienziati guidati da Yian Gu ( 2010) della Columbia University di New York1. Assolutamente da evitare è il fumo, che aumenta il rischio di demenza del 157% in persone che fumano due pacchetti di sigarette al giorno e del 172% in chi va oltre il secondo pacchetto (R.A.Whitmer, 2010), soprattutto aumenta la probabilità di sviluppare malattie cardiovascolari e la demenza vascolare, ovvero una compromissione della corteccia dovuta a dei danni (una serie di attacchi ischemici transitori) dei vasi sanguigni cerebrali.
Per quanto riguarda gli stili di vita una interessante ricerca al Karolinska Institute di Stoccolma (H. -X. Wang 2009), ha dimostrato come uno stile di vita 2 in cui si faccia prevalere l’amicizia, l’amore e le altre forme di socializzazione e di interessi attivi e passioni, sia correlata ad un basso livello di stress e quindi ad una probabilità di sviluppare una forma di demenza inferiore del 50% rispetto a coetanei più solitari, burberi e irascibili. In un altro studio longitudinale di David Snowdon, (“The Num Study” 1986-2008 Minnesota USA), in cui sono state studiate delle suore che vivevano in un convento, si è trovato come le persone che avevano un pensiero più positivo vivessero più a lungo e serenamente, mentre coloro che avevano una capacità intellettiva superiore avevano meno probabilità di sviluppare la malattia di Alzheimer.
I risultati di tutte queste ricerche, peraltro molto interessanti, potrebbero essere riassunti in una battuta del vecchio Jung (1977), il quale, già il secolo scorso,affermava che un individuo per vivere felice dovrebbe tendere a quattro cose: godere di buona salute fisica, avere un’armoniosa vita affettiva, avere un lavoro che piace e fa con passione, avere un credo e una filosofia e poi dovrebbe riuscire a vivere come se la vita fosse infinita, superare cioè la paura della morte, la quale è solo un passaggio e non la fine della psiche, poiché essa appartiene al mondo.
BIBLIOGRAFIA
Erzsebet Kokovay ”The Incredible Elastic Brain: How Neural Stem Cells Expand Our Minds”, New York Neural Stem Cell Institute, 1 Discovery Drive, Rensselaer, NY 12144, USA, Neuron 2008.
Henriette van Praag, Tiffany Shubert, Chunmei Zhao, and Fred H. Gage,”Exercise Enhances Learning and Hippocampal Neurogenesis in Aged Mice”The Journal of Neuroscience, September 21, 2005, 25(38):8680-8685;
Marazziti et al. “Neurobiological aspects of attachement” Gior.Ital.Psicopatologia 14:58-71;2008
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Bremner JD, Narayan M, Anderson ER, Staib LH, Miller HL, Charney DS.” Hippocampal volume reduction in major depression.” Am J Psychiatry. 2000 Jan;157(1):115-8.
Breslin, P. A. S., Beauchamp, G. K., & Keast, R. S. J. (2009, electronic publication).” Sensory characterization of the irritant properties of oleocanthal, a natural anti-inflammatory agent in extra virgin olive oils”. Chemical Senses. doi:10.1093/chemse/bjp006
Yian Gu, PhD; Jeri W. Nieves, PhD; Yaakov Stern, PhD; Jose A. Luchsinger, MD, MPH; Nikolaos Scarmeas, MD, MS “Food Combination and Alzheimer Disease Risk” Arch Neurol. 2010;67(6):699-706.
Rachel A. Whitmer, PhD “Heavy Smoking in Midlife and Long-term Risk of Alzheimer Disease and Vascular Dementia “Arch Intern Med. Published online October 25, 2010.
H. -X. Wang, PhD, A. Karp, PhD, A. Herlitz, PhD, M. Crowe, PhD, I. Kåreholt, PhD, B. Winblad, MD, PhD and L. Fratiglioni, MD, PhD “Personality and lifestyle in relation to dementia incidence”. Neurology 2009;72(3):253-9.
McGuire & Hull “Jung parla. Interviste e incontri” 1977 ed. Adelphi