Bambini e tecnologia

La tecnologia sta apportando all’umanità degli straordinari vantaggi a tutte le attività della vita quotidiana compresa la relazione umana. Attraverso la tv, internet, i cellulari e molte altre tecnologie riusciamo ad entrare in contatto con altre persone, riusciamo a vederle, conoscerle, parlar loro, lavorare con loro, giudicarle e persino amarle, con maggior velocità e facilità, a volte senza avere una relazione reale che passi attraverso sguardi, incontri, qualche chiacchierate, contatto fisico e altre sensazioni elementari semplici che percepiamo quando siamo in presenza di qualcuno.

Ma questa nuova forma di relazione umana, oltre agli ormai irrinunciabili vantaggi, può portare a lungo termine anche svantaggi?

Nei bambini nati nell’era della “relazione tecnologica”, che cambiamenti possiamo osservare nella loro psiche e nella loro modalità di relazione? Come usano questi strumenti? E infine quanto l’uso della tecnologia senza relazione con la persona reale, può, a lungo andare, alienare la nostra psiche e influenzare le nostre abilità relazionali?

La distanza.

In passato ogni individuo era necessariamente interdipendente agli altri non solo nell’infanzia ma anche nel lavoro, nel divertimento e in ogni altra attività umana, ora invece la maggior parte delle funzioni umane può essere sostituita da macchine. La comunicazione umana in particolare ha a disposizione oggi molti livelli di comunicazione: un messaggio su un social network è visibile a tutti quindi ha una connotazione più sociale, una mail è più formale di un sms, un sms è più formale di una telefonata, che è il contatto, per così dire, più “intimo” nell’ambito della relazione virtuale.

Quello che sorprende è proprio la distanza che questi strumenti mettono tra le persone reali, come se il momento del contatto sensoriale e della presenza fisica venisse continuamente rinviato. Quindi se la velocità dei mezzi di comunicazione, la frenesia delle azioni, la quantità dei messaggi e delle informazioni inviati e ricevuti, aumentano in modo esponenziale ogni giorno che passa, la presenza dell’altro essere umano viene sempre più allontanata, l’incontro reale rallentato, spostato verso un futuro quasi temuto, carico di ansie, di fantasie spesso irrealistiche e certamente intriso di un’inconscia paura.

Questa lontananza non è certo priva di conseguenze per la psiche. Il dr. Zoia, famoso psicanalista italiano, sostiene che l’uomo in quest’epoca è caduto in una solitudine fondamentale, è una situazione che non ha precedenti nella storia dell’umanità: l’uomo è orfano, sia in senso verticale, perché ha perso il contatto con il divino (questo è avvenuto già nel secolo scorso), ora anche in senso orizzontale, perché anche il prossimo, cioè chi gli sta vicino, è distante, è spesso caricato delle nostre proiezioni, dei nostri pensieri, delle nostre fantasie invece di essere ascoltato e conosciuto.

Stiamo paradossalmente creando un mostro: “l’altro”. Senza volerlo, né saperlo, l’altro sta diventando un preoccupante patchwork delle nostre ombre interne. Questo meccanismo è ancora inconscio per molte persone, e sicuramente lo è, a maggior ragione, per i bambini. Quando non vi è consapevolezza, non abbiamo altra possibilità che usare due comportamenti istintivi e primordiali anche nei confronti dell’altro: evitarlo o aggredirlo.

L’evitamento è visibile quotidianamente: non è certo raro vedere gente che si sposta in città con gli auricolari ascoltando musica in una sorta di delizioso autismo, la maggior parte delle persone con cui interagisci negli uffici, al casello autostradale, nei negozi, non ti guarda negli occhi, in treno tra sconosciuti è difficile che ci si parli o ci si scambi qualche battuta, persino nei colloqui di lavoro, non ti lasciano neppure parlare, forse ai selezionatori basterà vederti, probabilmente sanno, o pensano di sapere già molto di te… L’aggressività è anch’essa dato quotidiano, più l’altro è vicino, più è prossimo, maggiore è la violenza: sono in aumento le cause giudiziarie tra vicini di casa, e esistono casi di violenze fisiche ed omicidi, la competitività e l’aggressività nei luoghi di lavoro è anche in aumento, nelle scuole sono in aumento i casi di bullismo tra bambini sempre più piccoli. Eppure scambiamo ogni giorno mail, messaggi, giochiamo su internet con persone diverse a volte anche di nazioni, religione, cultura, anche molto lontane dalla nostra, ma ciò che ci affanna è il vicino.

L’altro più è lontano, più è curioso ed affascinate, più è facile comunicare, non è certo banale come il vicino di casa, non invade, non mi osserva, non mi chiede, non gli interessa la vita reale ma ciò che penso, che amo, ciò in cui credo anche se non lo realizzerò mai. Dall’altro lontano ho una sorta di riconoscimento illusorio che non ho con il partner o con l’amico, che ti mette a confronto anche con i reali limiti del caso e a volte anche con i tuoi umani limiti.

Negli anni ‘60 fa gli psicologi avevano capito attraverso un esperimento (Milgran e Epistein 1963) che l’aggressività aumentava all’aumentare della distanza. I soggetti, a cui veniva ordinato di punire con scariche elettriche altri soggetti, avevano molte più remore se dovevano farlo quando la persona era accanto a loro, ma lo facevano con maggior facilità se li vedevano in uno schermo. Ora i giochi sembrano ribaltati: amiamo chi è distante e aggrediamo più volentieri chi ci è vicino. Cosa è successo?

Il mito dell’irrealtà.

Fino al secolo scorso diventava una celebrità chi faceva qualcosa di importante per il collettivo per la società, ora le celebrità, celebrano sé stesse, come se, rimosso il divino dal trono, l’avessimo sostituito con l’uomo ideale, un novello eroe, il quale diventa un modello da imitare, sia che esso abbia compiuto il bene o il male, basta che si tratti di qualcosa di eclatante: viene celebrato con la stessa rapidità e follia con cui viene dimenticato.

Il messaggio che passa a livello inconscio anche ai ragazzi è proprio questo: “se compio qualcosa di eclatante non sarò solo, non importa che sia rispettoso della sensibilità degli altri, importante che si veda, che molti lo vedano.”

Siamo costantemente bombardati da notizie, servizi e trasmissioni che mostrano violenza, omicidi, interminabili processi, che descrivono i minimi dettagli non solo dei fatti, ma anche di tutto ciò che viene detto anche di poco significativo. Uno spreco di miti inesistenti piantati su un culto dell’uomo normale che diventa “eroe” per caso e che è in grado di catalizzare attenzione, curiosità, morbosità e soprattutto denaro.

Questo eccesso di informazioni e di dettagli violenti, possono creare un sovraccarico inconscio per la psiche dell’adulto, aumentando la paura, la rabbia, l’aggressività e il vuoto interiore, moltiplicandone quindi a dismisura le ombre interne. La psiche dell’adulto possiede tuttavia mezzi e modi per esprimere tali sentimenti e per fortuna lo fa attraverso il linguaggio scritto ed orale, ma è anche costretta in una certa misura a rimuovere rapidamente la gran parte del materiale violento che le arriva, il carico sarebbe insopportabile o procurerebbe un importante affaticamento psicologico. Si ha necessariamente una desensibilizzazione collettiva alla violenza, ma ciò che si nasconde nei meandri dell’inconscio lì si accumula lentamente e silenziosamente. E per la psiche del bambino?

Il bambino e lo stare insieme

Il bambino di ora è molto attento, a volte sembra sviluppare una maggior sensibilità per le cose e le persone, ma ovviamente sviluppa anche delle difese: più l’ambiente intorno a lui appare pericoloso più la sua psiche trova un modo per proteggersi per salvarsi da un carico che non è in grado di elaborare.

Il bambino non avendo uno sviluppo completo della coscienza, assorbe le emozioni degli adulti che gli stanno accanto, il loro pensiero, le loro paure e le loro aspettative, egli ha un suo carattere, delle sue peculiari abilità, il suo genio ancora informe, si esprimerà col tempo, ma intanto si imbeve dell’ambiente fisico e psichico che gli sta intorno. Se nell’inconscio del genitore è presente in modo latente la rabbia o il timore degli altri, il bambino esprimerà con i comportamenti tali contenuti emotivi. La psiche del genitore e del suo bambino sono legate da fili invisibili.

L’unico modo per diventare liberi è aumentare la consapevolezza di noi stessi, delle nostre emozioni, del mondo che ci circonda, delle persone con cui abbiamo a che fare, non smettere di stupirci, di ascoltare di conoscere l’altro, di fare una battuta all’impiegato delle poste, di osservare, non smettere di provare a comprendere le ragioni dell’altro, di accettare la diversità come risorsa, di sorridere, di scherzare, far riemergere l’altro dalla tomba in cui l’abbiamo infilato per paura o per fatica e provare a guardarlo di nuovo negli occhi. L’evitamento e l’aggressività nella relazione con le persone possono essere utili certo per togliersi d’impiccio, ma se mantenute come modus operandi creano alienazione nell’essere umano, e non sono certo foriere di felicità.

Ciò che muove il bambino è il profondo desiderio di esistere, di essere visto di essere amato, la paura di essere abbandonato e ignorato. Anch’egli è prossimo per i genitori e in quest’epoca non è facile neppure per le famiglie ascoltarsi, sentirsi, comprendersi e avere tempo gli uni per gli altri, essere presenti reciprocamente, emozionarsi, stringersi, abbracciarsi, osservare ed essere osservati, ma questo è tutto ciò che la Tv,l’iPod, i PC, i videogiochi e quanto altro di tecnologico fortunatamente non riescono a riprodurre.

BIBLIOGRAFIA

Zoja “La morte del prossimo”Einaudi 2009

J.Hillman “il codice dell’anima” Adelphi 1997

C.G. Jung “Opere 17. Lo sviluppo della personalità” Bollati boringhieri 1991

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