Il film Maleficent della Disney regia di Robert Stromberg, interpretato magistralmente da Angelina Jolie, oltre ad essere geniale per la storia inaspettata della bella addormentata nel bosco e per i grandiosi effetti speciali è un vero crogiolo di simboli archetipici del femminile.
Innanzitutto la protagonista, una fata dalle grandi ali, è un simbolo che riemerge dalla preistoria e dalla più importante divinità che veniva adorata 5.000 anni a.C., la dea madre, o dea uccello. La caratteristiche principale dell’antica dea era la forma di uccello, è possibile rendersi conto dagli studi dell’archeologa Marija Gimbutas (1), che ritrova molte statuette votive con le ali, il becco e talora le zampe, alle quali si accompagnano spesso attributi simbolici legati alla gestazione e alla generazione come il ventre gravido e i seni colmi di latte, simbolicamente legati al nutrimento. La dea madre è ovviamente legata alla terra alla sua capacità nutritiva e generativa e alla natura, in quanto tale è dea sovrana degli animali e della vegetazione e come Malefica del film, difende le sue creature e le ama profondamente. Nel film la protagonista nutre anche fisicamente la bambina con un biberon a forma di rosa, la cui natura morbida e vellutata richiama le sensazioni piacevoli del seno materno. Nel film ci stupisce come una creatura dolce e sensibile, una fata buona, si trasformi in una figura terrificante e cattiva. La dea madre primitiva era infatti sia buona che cattiva, proprio come lo è la natura, la quale può ristorare, avvolgere piacevolmente, farti commuovere dalla bellezza e dal suo profondo sentimento, ma ha in se un potere distruttivo tremendo attraverso gli eventi naturali quali il temporale, il terremoto, gli uragani, il fuoco, i vulcani. Nulla di strano, quindi, se un personaggio femminile con le ali e immerso nella sovranità della natura contiene sia il bene che il male. Quando la forza della natura serve per contrastare il potere, il tradimento e la malvagità umana esso diventa quasi indispensabile per riportare l’ordine. Tutte le grandi divinità femminili arcaiche hanno questa doppia natura da Ishtar, dea babilonese sia dell’amore che della guerra, Iside, madre, moglie, temuta maga, Atena, la dea greca protettrice di Atene, delle arti e dei mestieri ma anche feroce e spietata dea della guerra, Ecate, la dea oscura della magia, potente e mortifera allora stesso tempo. Del resto senza la morte non ci potrebbe essere nuova vita e per la natura entrambe diventano indispensabili. Ma la figura che più si associa a Malefica, è Lilith, la precedente moglie di Adamo, alla quale Dio uccise i figli a tradimento perché non voleva ubbidire al marito, divenne così uno spirito terribile, una signora dell’aria. Malefica nel film viene anch’essa tradita ingiustamente, sedotta, abbandonata e poi mutilata malvagiamente dall’uomo che amava, Stefano, che le taglia le ali per avere lo scettro del re. Un classico elemento archetipico di un tipo di maschile dedito al potere, spietato e anaffettivo ma che sa sedurre le donne per poi tarpar loro le ali. Questo maschile tuttavia si perde nelle sue ossessioni di potere e, proprio come nel film, spesso perde lucidità e stima a causa del suo unico delirio di potere, diventa avido e senza cuore. Nel film Re Stefano rifiuta persino di andare a salutare la moglie morente che lo supplica e quando rivede la figliola dopo sedici anni, prende il di lei abbraccio in modo distaccato, e brontolando riprende la strategia bellica con i suoi consiglieri.
Malefica lancia il suo anatema al battesimo della figlia del Re Stefano, ma si accorge ben presto di amare la bambina e se ne occupa diventando una meravigliosa madre putativa, discreta, protettiva. Emergono le caratteristiche materne positive dell’archetipo femminile l’importanza del nutrimento, della cura, della protezione attenta ma anche del affetto profondo e viscerale che cambia l’animo anche della madre e ne trasforma il suo rancore in desiderio di bellezza e di affetto. La barriera di spine gigantesca che divide i due regni quello delle fate da quello degli uomini è un simbolo meraviglioso che suggerisce quando l’animo e l’istinto ferito diventino fragili e vadano protetti dal mondo, ciò implica l’isolamento del mondo dell’anima, e come nel film, un inaridimento, uno spegnersi della vitalità, degli spiriti buoni, degli animali, della natura rigogliosa, questo capita anche a noi dopo un tradimento e un trauma doloroso: ci si isola e ci si difende, è inevitabile.
Un’altra figura maschile è l’aiutante di Malefica, il corvo che lei trasforma in uomo. Egli diverrà le sue ali, i suoi occhi, la sua lunga mano. All’inizio è una figura maschile dominata dal femminile e agli ordini di lei, ma lentamente egli partecipa al dolore di Malefica, la consiglia, la rimprovera e alla fine si intravede una collaborazione e un gioco affettuoso tra i due.
La fanciulla Aurora, figlia di re Stefano, ma che viene allevata nel mondo fatato da tre fatine confusionarie e divertenti, è la rappresentazione dell’anima, un nuovo sentimento, un nuovo affetto che apprezza la spontaneità e la bellezza del mondo naturale degli istinti e della natura ma che ha bisogno di tornare dal padre che l’ha generata per unire ciò che è stato diviso. La fanciulla nella mitologia è sempre il simbolo dell’anima è quella parte di sentimento e di spontaneità presente nell’essere umano, senza la quale ci ridurremmo adulti cinici e insensibili, è un nuovo principio della coscienza, un principio trasformativo, una nuova forma capace di unire i due mondi quello della ragione e dell’anima e diventare regina di entrambi. Cosi come la figlia di Afrodite, dea dell’amore e Ares, dio della guerra si chiamava Armonia, cosi Aurora nel film Maleficient, porta una nuova alba, la pace nei due regni, ma anche nel cuore di Malefica.
Il mondo imbruttito dalla sete di potere può essere salvato da una fanciulla, da un sentimento nuovo che sgorga dal femminile da un rapporto di amore rigenerato tra madre e figlia e da un sentimento di rispetto e di ammirazione per il mondo naturale e fu cosi, come dice Jean Bolen, che “ Saranno le donne a salvare la terra.” (2).
(1) Il linguaggio della dea Marija Gimbutas Ed Venexia
(2) le dee dentro la donna jean S. Bolen atrolabio ed.
dr.ssa Pasin Emanuela 11 giugno 2014
tel.333.9679689
www.emanuelapasin.com
Grazie per questo articolo. Io sto pensando che il film potrebbe oltrepassare la fiaba, che certo è una descrizione di quanto avvenne e un’utopia di quel che si auspicava che potesse avvenire. Maleficent capovolge i parametri, auspica, invece dell’avvento della coppia Aurora-Principe, un Femminile integro e un Maschile rispettoso e Nomina il Sacro Legame tra le Due (V. Vicki Noble “La Dea Doppia”). Per caso sai chi ha scritto questa versione cinematografica?
Un saluto. Lucia.
La sceneggiatura e’ di una donna, Linda Woolverton, che scrisse anche il capolavoro di Re leone. Si ottimo commento, ma in questa fiaba non vedo ancora una coppia maschio e femmina in armonia, perché si deve preparare la pace e l’unione tra i due regni quello della ragione e quello dell’anima…forse la prossima puntata in cui Aurora sposerà il principe…però è vero quello e’ il sogno…l’armonia vera tra maschile e femminile tra ragione e sentimento, questo sia nel mondo, sia dentro ognuno di noi. Grazie
Sì, mi piace molto il tuo articolo e la tua bibliografia di riferimento, anche io sono appassionata di queste tematiche. Ieri, guardando il film e rileggendo il tuo articolo mi sono venute in mente anche altre simbologie che non riesco a non riportare alla letteratura di Clarissa Pinkola Estés. Il tema della perdita dell’integrità e alla lunga strada che deve percorrere Malefica per ritrovarla. Lancia un anatema soprattutto verso sé stessa convincendosi che il vero amore non esiste ed il suo sogno di amore infranto, rappresentato dalla neonata, resterà tale finché non sarà lei stessa a lasciare rinascere in sé il seme dell’amore. In questo caso un amore più evoluto, più generativo, rivolto ad una creatura esterna e non solamente un amore narciso. Solo dopo averlo riconosciuto in sè ritroverà la sua integrità e quindi le sue ali e la sua forza. Grazie per lo spunto.
Si vero, e’ un percorso doloroso ma ciò la rende donna. Un caro saluto