Visione di una donna

“Cado sfinita dentro l’antro del mio cuore di donna,

così mi volle lo spirito di Madre Terra,

così lo stesso spirito nel suo riflesso Lunare

mi rinnova ogni mese e mi rende morbidamente potente.”

Che la donna sia considerata una macchina generativa e che sia sopravvissuta a tanti secoli di persecuzioni, è sicuramente a causa della sua mera funzione biologica, perché per il resto, la brutalità umana s’è messa d’impegno per mortificarne tutte le sue capacità, a partire da quelle mentali, psichiche, pratiche, fino a quelle intuitive.

La donna credo faccia paura, credo abbia, ad un certo punto della storia dell’umanità, terrorizzato quel tipo di uomo che voleva a tutti i costi il potere, quasi un’invidia ancestrale, ed è stato forse a causa di questo inconfutabile “fatto biologico”, la sua capacità generativa, che il maschile al potere, ha propagandato un Dio che, da solo, plasma l’essere umano, dà la vita e crea il mondo, forse per colmare quel senso di inferiorità: insomma una triste operazione di appropriazione indebita dettata da un complesso d’inferiorità.

Ma ahimè il risultato non è che un’illusione, una bugia millenaria, poiché alla fine ogni uomo sa che il femminile crea la vita dal suo corpo, grazie al seme del maschile. In quale meandro della storia, il maschile perse la consapevolezza del suo valore? O considerò il suo contributo alla creazione non sufficiente per garantirgli il potere assoluto? Non lo sappiamo.

A volte mi chiedo come una donna possa sopportare un sanguinamento costante, durante la maggior parte della sua vita, una tale deformazione del suo corpo e i patimenti della gravidanza, il dolore del parto, dell’allattamento e pensare che tutto ciò non è che l’inizio, di lunghe notti insonni, di una stanchezza estrema, di un trambusto ormonale che le intacca la mente e la lucidità, la riduce a puro istinto e poi la riporta alla ragione e alla consapevolezza di viaggiare in un’altalena di turbamenti e di sconvolgimenti fisici, psichici e ormonali che sono difficilmente concepibili e apparentemente inutili al fine della prosecuzione della specie.  Un compito arduo quello della procreazione femminile che non regge certamente il paragone con quello del maschile, che si riduce ad un piacevole atto sessuale di pochi istanti. A volte come donna, mi chiedo se i Creatori del genere umano, o chi per essi, non fossero stati allegramente ubriachi quando hanno diviso i compiti biologici tra maschile e femminile. Ma così è la realtà e forse meglio pensare che sia stata la scelta migliore.

Ma non è finita qui, poi i figli sono da nutrire, curare, allevare, proteggere, educare: tutte le energie della donna confluiscono in questo compito, che è immane e richiede un certo sacrificio di sé, del tempo libero, delle cure a sé stessa, dei suoi interessi e dei suoi pensieri, della sua arte, se non sta attenta a viversi anche come donna, non solo come madre, cade dentro al buco nero che la vuole dedita al compito essenziale della sopravvivenza della specie.

L’utilizzo che Madre Natura fa della donna è massiccio, ma ci stiamo organizzando sempre più per condividerlo col maschile, almeno nella parte che è possibile condividere, il risultato è sorprendente e commovente, rende i padri più presenti e dà loro la possibilità di amare ed essere amati come non lo sono stati mai nella storia.

E poi c’è la storia di repressione dell’anima femminile perpetrata dalle religioni che si sono susseguite nei secoli. In origine era venerata la Dea Inanna, regina del cielo e della terra, dea dell’amore e della guerra, poi lentamente svilita e svuotata di tutti i suoi principali significati, tramutata in prostituta, fino a lasciarci l’umana e pure vergine (fatto biologicamente assurdo se hai un figlio) Maria, un’adolescente ignara, mera funzione dell’unico Dio maschile. Tale millenario giochino di storielle, frutto dell’immaginazione umana (pur tracciando la storia e l’archeologia della psiche collettiva), ha dato origine ad una lenta e inesorabile trasformazione dell’equilibrio del mondo che ha prodotto morte e tanta sofferenza: le donne sono state nei secoli usate, torturate, demolite, mortificate, ignorate, umiliate e infine uccise in molte persecuzioni, alcune palesi e corali, altre subdole, personali e nascoste. A prova del fatto che “le storie e i miti” sono fondanti del pensiero universale, esse hanno non solo creato la storia, ma hanno anche deformato una verità, che definirei biologica, una delle poche certezze che abbiamo, quella appunto di come avviene la generazione della vita, attribuendola completamente al Dio maschio, trasformando la Dea in demone e prostituta e usando un utero umano per partorire il figlio di Dio, il primo utero in prestito evidentemente. Il teatro dell’assurdo.

Ed è cosi che dal profondo del mio femminile lunare, lancio questo accorato grido, consapevole dei miei turbamenti e del gioco della natura cosi viscerale in me, consapevole della mia fragilità emotiva, del mio limite, consapevole anche del bisogno di protezione, d’amore e di tenerezza che ho sentito nei momenti in cui ero più fragile, sento, sulla mia carne, tutta l’inutile umiliazione inferta dal mondo, all’anima femminile.

A volte mi giro indietro per qualche istante e vedo, tutti insieme, gli eventi della storia e ne rimango sconvolta, sento l’odore dei roghi, le urla dalle frustate, le risa dell’umiliazione, le frasi mortificanti come se fossero voci di un incubo, vedo i veli e le grate…chiudo gli occhi e piango, è troppo male da sopportare tutto in una volta. Cosi vado avanti, perché non potrei vivere pensando all’odio che sento addosso, né quello del passato, né del presente, posso solo continuare a vivere, grazie alla forza delle mie antenate, del femminile che incarno, grazie alla forza della Natura che mi tiene in vita e mi fa fare quello che devo fare oggi, sia anche solo preparare il pranzo, scrivere una poesia o consolare un essere umano.

 In questo incredibile sforzo che la storia ha compiuto e continua miseramente a compiere, in alcuni paesi più di altri, di asservirci, indebolirci e ridurci al silenzio, c’è una grande sofferenza degli esseri umani, uomini e donne, un disequilibrio, una disarmonia che ci fa viver male su questa Terra.

Negando l’anima femminile, il genere umano, nega un potenziale enorme di sentimento e sensibilità, un’unione creativa e potente tra maschile e femminile, nega la numinosità della Natura, potenziando quella parte dominatrice e distruttiva, che è un vicolo cieco senza uscita per l’umanità.

Poi mi fermo, mi ascolto dal profondo, dal di dentro, e so, dai miei imperscrutabili abissi, che ciò che è perseguitato, nascosto, acquisisce una sacra potenza, è la forza di quel seme sepolto in terra che vince le tenebre e compie il suo destino diventando un magnifico albero.

Si, sento una potenza imperturbabile sotto terra, perché quella vita, quell’energia, vilipesa, tradita, umiliata non è solo sopravvissuta a secoli di annientamento, essa è, fragile e potente esattamente come quel filo d’erba, lungo la strada, che fende l’asfalto di molti centimetri, per spuntare verde e pieno di vita. 

Non credo più di essere solo qualcosa di umano, nella grettezza dell’umana tecne[1] non mi riconosco più, non sono neppure una rivoluzionaria, non mi interessano gli schieramenti; sono solo qui, in piedi al centro della terra, a stendere la mano verso l’umanità e a dirvi : “Guardami, sono una donna, ventre della vita, cuore della terra, incarnazione dannata della Natura stessa, vivo, cresco, partorisco, abbraccio, sacrifico, invecchio, muoio attraverso di Lei. Lei che non molla mai, che se ne frega dell’asfalto, lo perfora, fa fiorire i fiori nel deserto, è una forza senza tregua, mossa da un disegno trascritto nel tempo. Se l’uomo “tecne” mi distrugge nel suo delirio di potenza, io donna morirò con lui, ma Lei, neppure di questo si cura, va sempre avanti come se la morte non fosse che un mero tramonto, un giocare a nascondino del sole per rinascere all’alba.”

Emanuela Pasin, 3 ottobre 2021, Verona


[1] Umana tecne= neologismo derivante dal greco Techne; con il quale non mi riferisco tanto al significato originario (Arte, perizia, saper fare), quanto a quel dominio contemporaneo della scienza e della tecnica che non è più al servizio dell’uomo e della natura ma del profitto e del funzionamento di per sé.

BIBLIOGRAFIA

Devana “Antenate. La visione delle donne” Ed. dell’Autrice

Martin Heidegger “La questione della Tecnica” 1953 Goweve

Umberto Galimberti “Heidegger e il nuovo inizio. Il pensiero del tramonto dell’Occidente” Feltrinelli 2020

Umberto Galimberti “Il tramonto dell’occidente” 2005 Feltrinelli 2020

Marija Gimbutas “Il linguaggio della Dea ” 1989 Venexia ed

C. Gustav Jung “La vita simbolica” 1993 Bollati Boringhieri

C. Gustav Jung “Gli archetipi e l’inconscio collettivo” 1980 Bollati Boringhieri

Erich Neumann”La grande madre” 1955 Astrolabio Ed.

Vicki Noble “Il risveglio della Dea” 1998 Tea ed.

Dee Poth “La sapienza della Dea” 1998 Psiche2 Ed.

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